CANEPARI ANTONELLA

FARE STALLA

La poetessa Antonella Canepari, con la sua poesia “Fare stalla”, ci porta indietro nel tempo. Un sano ritorno alle origini: “Finito di seminare si incominciava/per la stalla andare…a scaldarsi le ossa”. Quando, durante l’inverno, si soggiornava volentieri nella stalla, non solo perché più calda, ma anche per motivi di economia e risparmio. Gli uomini, con un bicchiere di vino, giocavano a carte o ricordavano i tempi del Piave. Le donne a fare la calza e a contare il corredo. Dopo il lavoro della terra, il tepore, gli animali, la vita semplice e vera. Un evidente omaggio al realismo e verismo di Giovanni Verga. Un amore e attenzione per il popolo dei “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni. Un’epoca prima dei cellulare e della tecnologia, che hanno tolto il dialogo fra le persone. In “Fare stalla” emerge l’immagine di un paese, una famiglia. L’autrice allestisce, nella sua opera, un presepe vivente comunitario e non individuale e individualista come il mondo di oggi. Una bellissima cartolina di un vivere e stare insieme “sparito”, un mondo fatto di voci e di persone vere. Gli uomini si vantavano su chi sapesse meglio lavorare la terra. I bambini ascoltavano, un po’ sonnecchianti, i discorsi, i racconti e le storie degli adulti, dei genitori, dei nonni: “Le donne, gli uomini…e noi bambini”. Vengono in mente i versi di Giovanni Pascoli: “Sono al caldo; e non li scalda il fuoco, ma quel loro soave essere insieme” (“Il Focolare”). Spegniamo, allora, ogni distrazione moderna e riascoltiamoci i versi di Antonella, chiudiamo gli occhi, immaginiamoci in un paesino, vediamo le lucine nelle casette, entriamo dentro una di esse, odoriamone il fumo del fuoco, apprezziamone il suo calore ed ecco che ci sembrerà quasi di sentire l’intenso vociare di quel mondo: “Che bello sentir cantar tutti vicini…/Le donne con gli occhi lucenti”.

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