L’arte di Chicago in mostra a Milano. Denuncia ma anche gioco e colore

Leon Golub, H. C. Westermann e la scena creativa degli anni Sessanta-Settanta
nel progetto curato da Germano Celant, in programma fino al 15 gennaio

Non solo gangster nella Chicago anni Sessanta, ma anche una comunità di artisti che hanno sviluppato temi vicini alla letteratura della Beat generation. Il critico Germano Celant ha scovato in musei pubblici, privati e nelle collezioni di artisti contemporanei (come in quella di Jeff Koons) ben 270 opere di questa variopinta Chicago che da oggi sono esposte alla Fondazione Prada. Si deve dar atto a questa Fondazione privata di investire somme significative in trasporti e assicurazioni per consentire che a Milano si svolgano mostre di livello internazionale su aspetti particolari di arte contemporanea.

Progetto Chicago si compone di tre parti: le monografiche di Leon Golub e di H.C.Westermann e Famous Artists from Chicago. 1965-1975, ovvero due generazioni di artisti formatesi dagli anni Cinquanta (si consiglia di seguire questo ordine di visita). Celant sottolinea «l’aspetto di denuncia» delle opere di Golub (1922-2004); ma nel complesso l’esposizione trasmette anche buonumore per la «forte eterogeneità» dei contenuti.

Le 27 tele di Golub (che lascerà Chicago per New York), di enormi dimensioni, anticipano immagini di torture e sevizie che abbiamo riviste nelle foto da Abu Ghraib. Queste tele in acrilico grattato con spatole sono accompagnate da 50 trasparenze fotografiche sia di battaglie e torture di quegli anni (come il Vietnam) sia di arte antica, persino Assiro-Babilonese, che pongono il visitatore come in una «selva oscura» della ragione.

L’approfondimento dedicato a H. C. Westermann (1922–1981) raccoglie nel primo piano del Podium più di 50 sculture realizzate tra gli anni Cinquanta e Ottanta e una selezione di opere su carta. Dopo l’esperienza nei Marines, questo artista studia arti applicate alla School of the Art Institute e diventa un carpentiere. Si ritrova questa vena d’artigiano in tutte le sue composizioni, che riattualizzano pastiches sei-settecenteschi ma dotati di rigore e pulizia classica (da italiani, potremmo scoprire parallelismi con artisti che vanno da Piranesi ad Aldo Rossi).

L’ultimo momento espositivo, Famous Artists from Chicago ospitato al piano terra del Podium, è un’esplosione di forme, colori, travestimenti, maschere, bizzarrie e False Image (1968-’69), quasi fake-news dei tempi andati. Qui l’arte fa stare bene: si gioca, si beve, si fa sesso, ma non mancano temi urbani carichi di riferimenti psicologici a René Magritte e Edward Hopper.

Completa la rassegna invernale della Fondazione Prada la mostra Slight Agitation 3/4: Gelitin, terzo capitolo del progetto espositivo ideato dal Thought Council (fino al 26 febbraio). Dopo l’installazione di Tobias Putrih che riguardava i concetti di gioco, politica ed emancipazione e il capitolo realizzato da Pamela Rosenkranz che coinvolgeva tutti i sensi dei visitatori per sollecitare reazioni mentali e corporee, il collettivo austriaco dei Gelitin ha realizzato in una ventina di giorni un’esposizione site-specific nella quale si prendono in giro i grandi archetipi dell’architettura: il ponte, la fontana (una colossale statua di uno dei Gelitin dal cui pene sgorga l’acqua), la torre, la scala a chiocciola che diventa un performativo fumoir. In Italia li ricordiamo per aver realizzato in Piemonte un gigantesco coniglio rosa di cinquantacinque metri visibile da Google Earth.

di Pierluigi Panza, il Corriere della Sera

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